Tempio di Apollo (Cuma)

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Tempio di Apollo
Resti del tempio
CiviltàGreci, romani, bizantini e saraceni
UtilizzoTempio
Epocadal VI secolo a.C. al XIII secolo
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
ComunePozzuoli
Scavi
Date scavi1912
ArcheologoAmedeo Maiuri e Vittorio Spinazzola
Amministrazione
EnteParco archeologico dei Campi Flegrei
Sito webwww.pafleg.it/
Mappa di localizzazione
Map
Coordinate: 40°50′54.75″N 14°03′12.67″E / 40.848541°N 14.053519°E40.848541; 14.053519

Il Tempio di Apollo è un tempio greco-romano ritrovato a seguito degli scavi archeologici sull'acropoli dell'antica città di Cuma[1].

Storia e descrizione[modifica | modifica wikitesto]

L'ingresso

Il Tempio di Apollo sorge sullo stesso luogo dove in precedenza era stato edificato dai greci, intorno al VI-V secolo a.C.[2], un altro tempio, forse dedicato ad Era, come testimoniato dal ritrovamento di materiale votivo, nei pressi di una vicina cisterna[3]; abbandonato quindi durante la dominazione sannita, il tempio fu completamente ricostruito nel periodo romano, in particolare nell'età augustea, quando per volere dello stesso imperatore tutti i luoghi ricordati nell'Eneide vennero restaurati[2]: Virgilio infatti racconta che Enea, fermatosi a Cuma, raggiunse questo tempio, edificato da Dedalo, il quale al suo interno consacrò ad Apollo le sue ali che gli avevano permesso di fuggire dal labirinto[4]; da questo periodo l'edificio sarà dedicato ad Apollo. Tra il VI ed l'VIII secolo il tempio venne trasformato in basilica cristiana, con la conseguente costruzione di un fonte battesimale e di alcune tombe nel pavimento[1]: venne quindi abbandonato a seguito dello spopolamento della città di Cuma nel XIII secolo e ritrovato solamente nel 1912, immediatamente identificato tramite un'epigrafe in marmo che faceva chiaro riferimento all'Apollo Cumano[1].

Il primitivo tempio greco, posto su una naturale terrazza panoramica, aveva un orientamento nord-sud, lo stesso che verrà usato quando verrà utilizzato come basilica cristiana, era periptero in ordine ionico, con sei colonne sul fronte minore e poggiante su uno stereobate[5] in tufo lungo trentaquattro metri e largo diciotto; il tempio di Apollo invece, ormai ridotto ad un rudere, che della precedente struttura riutilizzava lo stereobate, aveva un orientamento est-ovest[1]: il pronao presentava delle colonne doriche, eccetto quelle agli angoli che avevano una particolare forma trilobata[2]: tutte le colonne erano in laterizio rivestite in stucco, che in parte ancora si conserva, poggianti su basi attiche e sormontate da capitelli ionici[3]; la trabeazione, di cui sono stati ritrovati alcuni frammenti, era decorata in terrecotte, raffiguranti elementi zoomorfi ed antropomorfi[3]. La cella, realizzata in opus reticolatum ma di cui non rimane alcun rivestimento murario, misurava ventidue metri di lunghezza e nove di larghezza con ingresso sul lato orientale ornato da due colonne in laterizi: internamente era divisa in tre navate con aperture ai lati intercalati da pilastri in trachite[5] e doveva contenere una grossa statua raffigurante Apollo[3]. La pavimentazione dell'intera struttura era in travertino, mentre nel lato sud della cella era posto il fonte battesimale a forma ottagonale; nelle vicinanze del tempio un ambiente a pianta rettangolare con volta a botte, un thòlos e una cisterna utilizzata probabilmente per raccogliere gli ex voto[1].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e L'acropoli di Cuma, su archemail.it. URL consultato il 4 marzo 2013 (archiviato dall'url originale il 16 gennaio 2012).
  2. ^ a b c Cuma, il parco archeologico, su antika.it. URL consultato il 4 marzo 2013 (archiviato dall'url originale il 10 marzo 2013).
  3. ^ a b c d Cenni sul Tempio di Apollo, su spazioinwind.libero.it. URL consultato il 4 marzo 2013.
  4. ^ Il Tempio di Apollo nell'Eneide, su comune.pozzuoli.na.it. URL consultato il 4 marzo 2013 (archiviato dall'url originale il 16 novembre 2012).
  5. ^ a b Storia e descrizione del Tempio di Apollo [collegamento interrotto], su sit.provincia.napoli.it. URL consultato il 4 marzo 2013.

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